LA STORIA IN EVIDENZA
DUE CUORI E UN PRESEPE
Storia vera di Klara G. raccolta da Simona Maria Corvese
Pubblicata sul n.1 – 2 gennaio 2024 della rivista «Confidenze»
«Sono venuta fino a Bolzano per assistere le figlie di mia cugina che è in ospedale. Con me se ne occupa Klaus, un amico di famiglia. All’inizio non ci prendiamo molto, poi più lo conosco e più sento di potermi fidare di lui. Tanto da svelargli il segreto che mi pesa dentro.»
“Quando pensa di portarle a scuola? Sono le otto e siete ancora tutte e tre in pigiama.”
L’uomo che ho di fronte, sulla porta del maso mi lancia un’occhiata di disapprovazione. Il sole scintilla sulla neve ma l’aria è gelida e rabbrividisco.
“Zio Klaus!” le gemelle mi saettano davanti e lo abbracciano forte “Quando prendiamo il presepe dalla soffitta?”. Gli arrivano appena sopra la vita ma è anche vero che lui ha una statura imponente.
“Questa sera, quando tornate da scuola.” I suoi occhi, che poco fa mi hanno incenerita si sono ora addolciti. Fa loro una carezza sulla testa e scioglie l’abbraccio. “Forza, andatevi a vestire che vi porto io a scuola. Vi aspetto nel pick up, qui davanti.” E si volta per andare.
“Hannes e Sabine sono d’accordo?” Lo fermo e lo studio.
“Sono il padrino delle bambine.” Non mi accenna un sorriso di cordialità neanche a implorarlo.
“Io non le piaccio, vero?” Non so come mi è venuta una simile domanda: siamo due perfetti estranei.
“Non saprei cosa risponderle: non la conosco.” E mi dà una squadrata da testa a piedi. Il suo sguardo indugia sul mio décolleté sotto il pigiama di maglina a costine, aderente ma si risolleva subito sui miei capelli arruffati. Sospira e scuote la testa.
Io arrossisco fino alle orecchie ma gli porgo la mano. “Molto lieta. Klara, la cugina di Sabine.”
Lui me la stringe e abbozza un sorriso “Klaus.”
“Sono arrivata ieri sera tardi da Milano e mi sono fermata in ospedale a Bolzano a salutare Sabine. Ha la gamba in trazione e se va tutto bene, la dimettono per Capodanno. Non so altro.”
Ma come fa a essere così rilassato in un momento simile?
Si mette a braccia conserte e appoggia una spalla allo stipite della porta, di sbieco. “Hannes vorrebbe fare avanti e indietro tutti i giorni da questa sperduta valle di montagna. L’ultima cosa che voglio è che anche lui abbia un incidente, con tutta la neve che c’è.”
Dalla smorfia che ha sulle labbra, mi ha già inquadrata.
Incrocia una gamba davanti all’altra, senza spostarsi da dov’è. “L’ho convinto a fermarsi nell’appartamento di Bolzano. Mi occupo io delle mie figliocce, con il tuo aiuto. Ci diamo del tu?”
Sgrano gli occhi. “Con il mio aiuto? Ho promesso a mia cugina che mi occuperò io delle bambine: non sapevo neppure che tu esistessi!”
Klaus ridacchia. “Senti, per qualunque cosa chiedi pure a me. Hannes e io siamo amici d’infanzia e abito nel maso accanto al vostro. Ti fidi adesso?”
Lo conosco da cinque minuti ma ogni suo sguardo riesce a leggermi in profondità, oltre la finta sicurezza che ostento.
***
“Perché le bambine vogliono proprio questo vecchio presepe? In casa ce ne è già uno.” Klaus mi aiuta a scartare le statuine, una per una, in soffitta.
“È stato intagliato tutto a mano da nostro nonno, nelle lunghe notti d’inverno. Julia e Irene vogliono fare una sorpresa alla mamma per quando tornerà a casa.”
“Di la verità: non sai niente di bambini, vero?”
“Si nota così tanto?”
Lui si volta verso di me “Imparerai alla svelta.” e mi rivolge un sorriso che mi scalda il cuore e mi incoraggia.
Allora non mi è ostile come ho creduto. È solo un po’ ruvido.
“Diversi pezzi sono danneggiati o rotti, mi spiace.” Klaus scuote la testa e me li porge.
“Tu hai figli?”
“Sì, due ma vivono con la madre.” E tronca il discorso.
“Non so dove vogliano allestirlo: c’è un presepe in salotto, uno nello studio… questa è la casa dei presepi.”. Scarto la capanna con la mangiatoia ed è quella in peggior stato. Emetto un profondo sospiro “È passato da tante mani ma non ne hanno avuto molta cura. Tu sei falegname, Klaus: puoi fare qualcosa?”
Lui soppesa la capanna e i pezzi danneggiati poi mi guarda “Sì, posso intagliare nuove statuine e riparare la capanna ma non ce la faccio per Natale.”
“Siamo in tempo fino all’Epifania, visto che abbiamo bisogno proprio dei Re Magi!”
Klaus scoppia in una risata contagiosa. “Conta su di me: le bambine e tu avrete un Natale memorabile e non intendo solo questo.”
Io faccio una smorfia e lui mi guarda, incredulo. I suoi occhi indugiano nei miei e si fa serio “Se hai bisogno di parlare con qualcuno, ci sono sempre per ascoltare.”
“Me la cavo da sola ma grazie per la disponibilità.”
Con la mano mi sfiora il braccio “Volevo solo farti sapere che ci sono, se qualcosa ti preoccupa.”
“Mi preoccupo di quello che le persone penseranno.”
Lui aggrotta la fronte e i suoi occhi s’incupiscono ma non insiste.
***
“Grazie per avermi aiutato a preparare i biscotti di Natale con le bambine, Klaus.” Gli do le spalle e innaffio i vasetti di erbe aromatiche che assorbono l’ultima luce del giorno sul davanzale di una finestra in cucina
“È divertente, lo faccio anche con i miei figli. I ragazzini vanno matti per queste cose.” Il gorgoglio e il sibilo del vapore della teiera lo distrae: si volta e va a spegnere il gas. “E tu? Hai qualcuno che ti aspetta a Milano?”
Tolgo le foglioline secche dalle piantine, una alla volta.
Come gli rispondo adesso?
“No, ho chiuso una lunga relazione con il mio compagno. Volevo un rapporto più stabile. Lui no.” Ho le mani sudate e non ce la faccio a voltarmi per guardarlo negli occhi: mi vergogno a mostrare il mio sconforto ora. “Avrei comunque trascorso il Natale da sola in città. Almeno qui mi rendo utile e sono in compagnia delle gemelle: con loro non ho il tempo di rimuginare sulla mia vita, per fortuna.”
Rido e Klaus con me. “Ti capisco, sono divorziato e la mia ex moglie si è risposata un anno fa. Avrei trascorso anch’io il Natale da solo. I miei figli ora sono con lei a festeggiare in Giamaica. Tornano per l’Epifania.” Prende la teiera e versa l’acqua calda nelle tazzine, sulle bustine di rosa canina, in silenzio. “Magari ha solo bisogno di riflettere e si rifà vivo dopo le feste.”
Io alzo un sopracciglio e sospiro “Dubito. Io sono una semplice programmatrice che crea siti web per aziende. Lui é un brillante analista informatico e ha opportunità interessanti anche all’estero.” Mi volto verso Klaus. “Sarei egoista a volerlo tenere qui con me: prima o poi me lo rinfaccerebbe e finirebbe comunque la relazione.”
Klaus toglie la sua bustina inzuppata e la appoggia su un cucchiaio. “Tu vuoi giustificarlo: chi ama non sente limitata la propria libertà. Trova comunque un modo per esprimere il proprio ingegno.”
Tuffo un cucchiaino nella zuccheriera, lo avvicino alla tazzina e lascio cadere lo zucchero a cascata dentro. “Vorrei dirti di più di questa situazione ma susciterei solo la tua pietà.”
Lui mi guarda dritto negli occhi “Non giudico nessuno, Klara. Quando vuoi, io ci sono ma non portarti dentro il peso delle preoccupazioni. È qualcosa che ti logora.”
Suona il timer di cottura e colgo l’attimo per glissare sull’argomento. Mi infilo il guantone da forno ed estraggo la placca con i biscotti. “Senti che profumino!” Ne prendo un paio ancora fumanti, ne addento uno e faccio cenno a Klaus di prenderne anche lui.
Lui mi guarda stupito e ne prende uno “Ehi, che appetito che hai.” Sfodero un sorriso di circostanza e appoggio l’altro biscotto su un piattino “Vado a chiamare le bambine per la merenda.”
“Sì, io intanto li dispongo su una grata a raffreddare.”
***
“Klara, dammi i cartoni delle pizze, per favore. Li porto fuori.” Glieli passo e vado a vedere cosa combinano le bambine in salotto. “Bambine, è ora di riordinare.” E le aiuto a raccogliere i giochi sparsi qua e là.
“Zia, guardiamo un film insieme quando torna Klaus?”. Annuisco e prendo il telecomando. Lo punto verso il televisore montato sul muro e andiamo a sederci sul divano tra cuscini colorati.
“Eccomi qui! Cosa guardiamo stasera?” Klaus si siede accanto a me e un brivido di piacere mi percorre la schiena. Torno a guardare lo schermo ma salta la luce. “Tranquille, bambine, adesso vado a prendere le candele.”
Mi alzo a tentoni e la mano di Klaus mi afferra il polso. “Bambine voi state buone lì sul divano. Io aiuto Klara.”
In cucina prendo la mia scorta di candele e le accendiamo. Torniamo in salotto e le appoggiamo a terra.
“È stata la forte nevicata a causare il blackout: i cavi della luce in strada sono troppo carichi di neve.” La neve si è insinuata anche tra gli alberi, al punto che rami e cespugli sono cristallizzati. “Che ne dite di fare una partita con i giochi in scatola con me e Klara?”
Ai primi sbadigli delle bambine capisco che è ora di metterle a dormire. “Per stanotte dormite sul divano con me, piccole. Evitiamo di farci male ad andare su e giù per le scale a tentoni.” E rimbocco loro le coperte di lana che erano già sui divani.
Klaus e io ci sediamo sul tappeto a chiacchierare ancora un po’. “Senti, Klaus, per favore non portare più le bambine sulle piste da sci difficili come hai fatto ieri. Mi sono troppo spaventata quando le ho viste lì.”
Lui inarca le sopracciglia. “Che cosa ti viene in mente? Sciano da quando avevano cinque anni e sono già scese da quelle piste con il papà.”
Scuoto la testa, con lo sguardo rivolto ai bagliori che emanano le candele. “Non è questo il punto. Non mi hai neanche chiesto se ero d’accordo. Volevi fare l’eroe con loro?”
“Non devo chiederti il permesso: sono il loro padrino e… sì, scusami, dovevo parlarne anche con te ma non sono stato io a proporre quella pista a Julia e Irene. Me lo hanno chiesto loro.”
Sgrano gli occhi, incredula. “Domani parlerò con loro.”
Klaus mi sfiora il braccio “Non essere così ansiosa. Ho acconsentito a portarle lì perché sapevo che erano in grado di affrontarla. Perché non vieni anche tu a sciare con noi domani?”
“Perché sono incinta.” E mi vengono le lacrime agli occhi.
Klaus rimane a bocca aperta “Ecco cosa ti stavi tenendo dentro da giorni. Adesso capisco tutto!” Mi abbraccia ma si stacca subito da me. “Lui lo sa?”
Mi asciugo le lacrime con il dorso delle mani. “Sì e riconoscerà il figlio o figlia ma tra noi due non c’è futuro. Giuro che non m’innamorerò mai più.”
Klaus mi accarezza i capelli. “Non dire così, Klara. Ho attraversato anch’io questa fase quando ho divorziato. La verità è che vuoi amare di nuovo ma ti trovi a lottare con la sfiducia e la vulnerabilità.”
Mi volto a guardare le bambine che dormono con i loro peluches tra le braccia. “Sabine e Hannes sono fortunati: hanno una famiglia fantastica. Quello che temo è che l’amarezza e il risentimento possano contaminare nuove relazioni.”
Klaus mi posa una mano sulla spalla. “Non accadrà quando ti innamorerai di nuovo.” Le candele accese nella stanza proiettano tremolanti bagliori su di noi e la preoccupazione che leggo sul volto di Klaus lo rende ancora più affascinante ai miei occhi. “Io ho rimpianto tutti i sogni che sono andati infranti. Pensavo che saremmo invecchiati insieme.”
I battiti del cuore mi accelerano. “I tuoi figli come la hanno presa?”
“Hanno sofferto: sono molto affezionati anche a me.” Klaus distoglie lo sguardo da me e si volta verso il camino.
Dal ripiano di marmo pendono colorate calze natalizie e le fiamme scoppiettanti emanano un intenso profumo di pigne, che adoro.
“La decisione che abbiamo preso Renate e io è stata la cosa migliore per tutti ma mi sento ancora in colpa per l’effetto che ha avuto sui ragazzi.”
“Mio figlio non conoscerà mai questo tipo di situazione: crescerà con un solo genitore.”
“Coraggio, non perderti d’animo. Questo momento di sconforto passerà.” E si china verso di me fino a sfiorarmi le labbra.
Gli poso una mano sul petto e lo fermo: desidero quel bacio quanto lui ma sono turbata da quello che provo.
Torna la luce e noi due rimaniamo lì sul tappeto, uno di fronte all’altra a guardarci negli occhi, increduli per quanto stava per accadere.
Klaus si alza e va a guardare alla finestra. “È tornata la luce anche in strada.” E si volta verso di me. “Ne approfitto per tornare a casa ma se hai bisogno non esitare a chiamarmi, Klara. Grazie per il bel sabato sera, davvero.”
***
“Hanno suonato alla porta: chi va ad aprire?”
“Andiamo noi!” Julia e Irene corrono alla porta. “Mamma!”, gridano in coro.
“Buon San Silvestro piccole. Visto che ho mantenuto la promessa?”. Sabine abbraccia le bambine e mi sorride. “Grazie Klara, non so come avremmo fatto senza te e Klaus.”
“Se non ci aiutiamo tra parenti, chi altro? Venite, Klaus e io abbiamo preparato la cena.”
Ancora sulla porta, mia cugina mi ferma. “Sei proprio sicura di voler tornare a Milano, ora che sei in attesa?”
Io non le rispondo. Andiamo tutti in soggiorno ma non vedo Klaus.
“Avete visto Klaus?”.
Mi si avvicina Hannes. “È uscito nel giardino sul retro. Era sottosopra: ha capito che vuoi tornare insieme a Enrico.”
Afferro il cappotto dall’appendiabiti e mi dirigo verso il retro della casa “Devo parlargli.”
Lui è appena fuori dalla porta, con le mani affondate nelle tasche del piumino slacciato e lo sguardo rivolto all’abete addobbato. È carico di neve e le lucine led s’intravedono appena.
Mi avvicino in punta di piedi. “Ho delle notizie da darti: mi fermo qui in montagna per tutta la gravidanza. Lavorerò in remoto e… non sono tornata insieme a Enrico.” Ma scivolo sugli aghi di pino che spolverano una vecchia coltre di neve.
Grazie a Klaus che si sporge verso di me e mi sorregge per un gomito, mantengo l’equilibrio. “Ho riflettuto e capito che tra me e lui non funzionerebbe mai: mi ha proposto un rapporto più stabile ma starebbe con me solo per senso di colpa. Mi merito molto di più da un uomo.”
Klaus mi guarda dritto negli occhi. “Dopo il divorzio non ho cercato un’altra donna. Avevo paura di finire in un’altra brutta relazione ma non sono felice da single. Tu sei stata la prima a farmi provare il desiderio di rischiare ancora e mettere in gioco i miei sentimenti, Klara.”
Siamo così vicini che il suo profumo di muschio bianco e resina, caldo e avvolgente, mi fa girare la testa. “Provo anch’io dei sentimenti per te, Klaus.”
“Vieni con me, ti faccio vedere una cosa.” Mi prende per mano e mi porta a un tavolo nel giardino innevato, vicino a un cespuglio di bacche rosse. Soffici fiocchi di neve mi cadono sui capelli e mi solleticano le guance.
“Ma è il presepe! Lo hai finito…” Lo guardo a bocca aperta. “Hai intagliato nuovi personaggi, non solo i Re Magi.” Gli butto le braccia al collo ma mi stacco subito da lui e le mie guance s’infuocano.
“Sabine lo regala a te. Ci siamo sentiti per telefono. Sei tu la persona che in famiglia ci ha sempre tenuto.” Ora si china lui verso di me, mi abbraccia e il suo bacio sa ancora della marmellata di uva spina che abbiamo mangiato a merenda. “Sono felice che tu rimanga qui, Klara e farò di tutto perché tu non te ne vada più.” Nei suoi occhi c’è un luccichio malizioso. “Che questo presepe ci sia di buon augurio e segni l’inizio di una nuova tradizione familiare: la nostra.”
***
L’ABBINAMENTO PERFETTO
Sono tornato da poco nella casa di famiglia, nelle Langhe, quando ritrovo Laura. Lei sta sulle sue, credo non mi abbia mai perdonato di aver sposato un’altra. Oggi però sono solo, malato e vorrei offrirle la mia amicizia. L’accetterà?
Storia vera di Max G., raccolta da Simona Maria Corvese
La donna allo stand della fiera mi dà di spalle e versa del vino nei bicchieri delle signore che sono lì per la degustazione.
Rimette il tappo alla bottiglia e spiega. «Questo vino è prodotto proprio qui nelle Langhe, nella mia proprietà.»
Porge i bicchieri alle ospiti. «Presenta belle note di gusto di nocciola con cannella e ciliegia. È l’abbinamento perfetto con questa torta al cioccolato.»
Riconosco la mia torta sul bancone.
Le signore sorseggiano il vino e la donna assaggia una fetta di torta. «Mhm… è deliziosa! Chi di noi volontari la ha preparata?»
Mi avvicino a lei con un sorriso soddisfatto sulle labbra. «Io!»
Lei si gira e rimane a bocca aperta. «Max…» sbatte le palpebre, incredula, con lo sguardo fisso su di me «Cosa ci fai qui?»
Si è irrigidita e incrocia le braccia.
Dei volontari intorno a noi rastrellano e raccolgono le foglie sul prato.
Io sgrano gli occhi, con un filo di voce. «Mi sono unito al comitato dei volontari della fiera autunnale.»
Non so se mi ha sentito: gli altoparlanti diffondono musica folk in tutta la fiera e le persone che girano per le bancarelle parlano ad alta voce, ridono, si chiamano l’un l’altra.
Lei scuote la testa «No, intendevo cosa fai qui in paese.»
Deglutisco a fatica. Ho un groppo in gola e cerco le parole per spiegarglielo. «Non avevo pianificato di lasciare Genova ma dopo un imprevisto mi sono trasferito qui, nella casa di famiglia e continuo a lavorare come programmatore da remoto.»
Lei mi osserva, mantiene le distanze dietro il bancone e non replica.
Mi schiarisco la voce. «Laura, se non gradisci la mia presenza, posso andarmene.»
Lei mi sfiora il braccio con la mano. «No, rimani. È trascorso molto tempo… siamo tutti e due adulti ormai.»
Annuisco e abbozzo un sorriso con un filo di voce. «… decenni.»
Eppure la sua fronte corrucciata e i suoi occhi incupiti mi dicono che non mi ha mai perdonato.
Alcune foglie volteggiano nel vento. Lei ha un brivido e si stringe il golfino al petto. «Scusami ma ora devo andare. Stammi bene.». Si volta e se ne va.
«Stammi bene.» Il suo augurio mi risuona in mente beffardo ma lei non ne ha colpa: non sa nulla della mia situazione.
Una mano mi tocca la spalla e mi giro di scatto. «Laura è ancora una bella donna, vero?»
Sorrido all’uomo che mi guarda. «È vero, Giorgio. Per lei gli anni non passano.»
Mi da una pacca. «Perché non cerchi di riallacciare con lei adesso che sei libero?»
Emetto un profondo sospiro e mi passo una mano tra i capelli «Potrei rinunciare a farlo: l’ultima volta che la ho vista le ho spezzato il cuore. Ho creato una frattura irreparabile nella nostra amicizia.».
Lui scuote la testa. «Ho visto come ti ha guardato poco fa e se prova quello che provi tu, avete ancora qualche possibilità.»
Alzo un sopracciglio, scettico.
Giorgio sbuffa e si punta le mani ai fianchi. «Max, vedi tutto nero. Convivere con una malattia cronica non è semplice ma non ossessionarti.»
Non ero pronto a sentirmi sbattere in faccia queste cose ma Giorgio ha detto la verità.
***
Il sole tramonta e io m’incammino tra le stradine del villaggio medievale. Anche per questo luogo il tempo non è trascorso. Tutto è uguale agli anni della mia gioventù.
È nella mia vita che sono mutate troppe cose ma ora tutto quello che voglio è farmi perdonare da Laura. Non potrò mai avere il suo amore, per come stanno le cose. Vorrei però che lei riuscisse ad accettare la mia amicizia.
***
Fermo in piedi sotto il patio del ristorante di Laura, guardo i campi di viti dalle foglie verdi legate a fili e pali. La terra marrone è compattata in una traccia tra i filari.
Tamburello con il piede sul pavimento e guardo il cielo che vira verso il rosa e il viola più profondo. Le nuvole illuminate dal basso riprendono i suoi colori.
Mi perdonerà Laura? Accetterà la mia amicizia?
Una mano mi tocca il braccio e sussulto. «Eccomi qui! Scusa per l’attesa.»
Sorrido. «Complimenti per l’azienda vinicola: hai fatto un bel lavoro.»
Lei ridacchia. «Non è merito mio: sono il capo enologo, non la proprietaria.»
Sgrano gli occhi. «… ma è un ruolo chiave per il successo di un’azienda vinicola!»
Lei abbassa lo sguardo e ride, compiaciuta. «Vieni, scendiamo in cantina per la degustazione.»
Credevo che non ne volesse più sapere di me dopo quello che c’è stato tra noi e invece, eccomi qui. «Grazie per aver accettato di collaborare con me al ritrovo degli amici di un tempo.»
Lei si stringe nelle spalle e sospira. «Non c’era nessun altro disponibile. Qualcuno doveva pur farlo.»
Mi affloscio e incurvo le spalle. «Quei tempi sono finiti e noi non siamo più le persone di allora.» Emetto un sospiro pesante. Mi sono illuso di riuscire a farmi perdonare.
Entriamo nel ristorante e scendiamo da una scala che porta in cantina. Lunghe file di botti di vino invecchiato sono accatastate ed etichettate, le luci lungo il soffitto sono ben distanziate.
Su una cremagliera in legno alla parete sono impilate tante bottiglie di vino e una botte lì vicino espone una bottiglia speciale con un’etichetta in rilievo, irregolare. Accanto ci sono due bicchieri e un piatto con del cioccolato.
Laura segue il mio sguardo. «È cioccolato fondente al 70%»
«Il mio preferito»
Lei sorride «Me lo ricordavo.»
Rimaniamo avvinti con lo sguardo l’uno nell’altra ma è lei a interrompere il contatto per prima. «È l’abbinamento perfetto con il mio vino. Prova ad assaggiarlo.»
Me ne versa un po’ nel bicchiere e me lo porge. Io lo porto alla bocca e ne prendo un sorso. «Avevi ragione ieri allo stand. Sei brava.»
Un lieve rossore s’insinua sulle sue guance.
Le sorrido soddisfatto: non mi è più così ostile come ieri. Forse sono riuscito ad aprire una breccia nella fortezza che si è creata. O forse è lei che mi permette di riavvicinarmi.
Do un’occhiata all’orologio che ho al polso. «È tardi, io torno a casa. Vieni anche tu?»
«Sì, facciamo un po’ di strada insieme.»
Percorriamo le strette stradine in pietra del borgo medievale, circondate da vigneti lussureggianti. «Ho sempre sognato di trasferirmi a vivere nella casa dei miei nonni. Adoro queste atmosfere antiche.»
Lei mi fa un sorriso che le arriva fino agli occhi. «Ti capisco, è il luogo ideale per gli amanti del vino e della storia. Che cosa ti ha riportato qui?»
Adoro questa serata d’autunno. La luna proietta una morbida luce bianca, gli alberi ondeggiano, le foglie svolazzano, cadono a terra e formano cumuli in prossimità dei pluviali.
L’aria è frizzante e Laura avvolge le braccia intorno al busto per stare al caldo.
Mi tolgo la giacca e gliela metto sulle spalle. «Va meglio così?»
La stringe al petto e il sorriso che mi rivolge mi provoca una sensazione di tepore in tutto il corpo.
Un tremore inaspettato mi fa sfuggire dalle mani il volantino del ristorante, che cade a terra. Mi chino per prenderlo ma sono tutto irrigidito e non riesco a flettermi con il busto fino a terra. Pesto un piede sul selciato, irritato: con la mano sono a un soffio dal volantino ma non riesco ad afferrarlo.
Laura, fulminea si china, lo raccoglie e me lo porge. «È freddino stasera, hai i brividi.»
Mi studia attenta e io mi sento in colpa perché non ho ancora risposto alla sua domanda.
Scuoto la testa. «No, Laura. Sono tremori involontari: ho il Parkinson.»
Lei sgrana gli occhi. « Ma… com’è possibile? Hai solo cinquantadue anni!»
Sorrido davanti alla sua spontaneità. «I medici pensavano a tutto tranne che al Parkinson. Quattro anni fa ho iniziato ad avere questi tremori e gli esami lo hanno confermato.»
Laura si ferma in mezzo alla strada e scuote la testa con incredulità. «Mi dispiace tantissimo, Max… chissà come l’avranno presa i tuoi cari.»
Le abbozzo un sorriso privo di energia. «Mia moglie è mancata due anni fa.»
Lei si porta una mano alla bocca. «O santo cielo… non sapevo… Perché non me lo hai detto?»
Sono incapace di vedere dove mi porterà il futuro ma le devo sincerità. «Perché so che delusione ti ho dato quando ho preferito lei a te tanti anni fa.»
Rimaniamo tutti e due in silenzio. Mi è costato un grande sforzo rispondere alla sua domanda ma ora mi sento leggero. «Ho rimpianto per anni di essermene andato senza darti spiegazioni. Spero che tu mi possa perdonare.»
Faccio fatica a continuare questa conversazione ma se non vado fino in fondo ora, non avrò un’altra occasione per farlo. «Vorrei anche poterti essere amico. Non posso offrirti di più.»
Lei mi guarda dritta negli occhi e la sua bocca si allarga in un sorriso. «Nel mio cuore ho già perdonato te e il compagno che c’è stato dopo di te… »
Alzo un sopracciglio «Ti sei sposata anche tu?»
Fa un sospiro amaro. «No, ho avuto una lunga convivenza ma nei suoi occhi non ho mai visto la luce appassionata che vedo nei tuoi.»
Ha ragione, provo qualcosa per lei ma non credevo si notasse così tanto. Abbasso lo sguardo verso le mie mani ma lo rialzo. «Gli occhi non mentono.»
Mi chino verso di lei e le sfioro le labbra ma il suono del clacson di una macchina ci fa sussultare e ci separiamo.
La macchina si ferma accanto a me. «Papà vuoi un passaggio a casa?»
Mi giro verso Laura. «È mio figlio Fabio. Lavora in una pizzeria nel paese vicino.» Mi rivolto verso di lui. «No, grazie. Rientro pian pianino con Laura.»
Lui, ancora con la testa fuori dal finestrino, le fa un sorriso «Se fa il furbetto con lei, me lo dica, Laura. Buona serata!» Riavvia il motore e se ne va.
Laura ride e sospira. «A volte vorrei tornare ad avere i suoi anni e fare scelte diverse, anche se non rimpiango nulla di quello che ho fatto.»
Ho ancora il sorriso sulle labbra. «Fabio è un ragazzo maturo ed è lui che mi assiste.»
«Devi essere orgoglioso di lui, allora.»
Riprendiamo a camminare, lenti, perché il mio equilibrio è instabile.
«Lo sono e per fortuna la malattia avanza lenta. Sai, lui ha diritto anche a vivere la sua gioventù.»
Annuisce. «È giusto.»
Davanti a casa sua Laura mi restituisce la giacca. «Buona notte, Max. Ci vediamo domani allo stand della fiera.» Apre il portone ma si volta «Grazie per questa bella serata.»
Mi s’inumidiscono gli occhi. Non riesco ancora a credere che lei mi abbia perdonato. Ho accettato di fare il volontario per distrarmi dalla malattia e a volte penso sia stata una punizione per aver fatto soffrire Laura.
***
Mi destreggio tra le persone che si accalcano tra le bancarelle, frastornato dai venditori ambulanti che invitano a gran voce ad avvicinarsi ai loro stand. Intravedo Laura al nostro, la raggiungo e mi metto subito sotto l’ombra della tenda.
Lei mi fa un sorriso che mi allarga il cuore. «Ciao! Hai visto che bella giornata?»
Scrollo le spalle. «Non durerà, hanno previsto brutto nel pomeriggio.»
Laura mi accarezza il braccio. «Oh, non essere così pessimista, Max. Guarda che bella giornata d’autunno intanto!»
Poso la mia mano sulla sua con un buffetto. «Hai ragione ma essere un po’ giù di morale fa parte della mia malattia.»
Le lascio andare la mano e ci avviciniamo all’ambulante di un baracchino delle caldarroste. «Un pacchetto, per favore.»
L’uomo prende una paletta e ne raccoglie qualche manciata.
Nell’aria si sprigiona lo stesso profumo di quando ero bambino e i miei genitori me le compravano. Sospiro al ricordo di un tempo che non tornerà più.
Andiamo a sederci a una panchina lì vicino e porgo a Laura il sacchetto. Nel farlo le nostre dita si sfiorano e una scarica d’eccitazione mi percorre il braccio.
Laura prende una castagna e mi guarda dritta negli occhi. «Se passi il tempo a preoccuparti del futuro ti privi del bello di oggi.»
Non ho parlato agli altri di come mi sento, per non sentirmi dire che è tutto nella mia testa. Laura è la prima con cui lo ho fatto.
Annuisco e prendo una caldarrosta. «Ho paura di peggiorare velocemente e diventare un peso per mio figlio.»
«Ma non è accaduto fino a ora.» Sbuccia la sua castagna, la mette in bocca e rimane in silenzio qualche istante. «Dai accompagnami al palco. La giuria adesso nomina i tre vini vincitori del concorso.»
Ci prendiamo per mano e lei me la stringe forte.
***
La folla si dirada dal palco e non mi sfugge lo sguardo mogio di Laura: ha le spalle curve e guarda a terra.
Un imprenditore vinicolo della giuria ci si avvicina e si rivolge a lei. «Sono venuto a parlarle di persona. Ho degustato il suo vino oggi ed era fantastico, audace, originale, creativo.»
Laura è a bocca aperta. «… grazie.»
Lui le sorride. «Non tutti i giudici erano d’accordo con il suo vino ma penso che lei abbia compreso.»
Laura annuisce, ammutolita e lui le sorride bonario. «Se per caso volesse trasferirsi in Alto Adige, c’è una posizione aperta nella nostra tenuta.»
Le porge un biglietto da visita. «Tenga, lì c’è il mio numero personale ma non ci metta troppo a rifletterci.»
Laura balbetta ancora. «… Grazie» e rimane lì col biglietto in mano a guardare l’uomo che se ne va.
Le poso una mano sul braccio. «Laura, questo è meglio che vincere un premio. Lo conosco di fama: è un bravissimo imprenditore vinicolo e vuole lavorare con te!»
Mi è costato tantissimo dirle queste parole. Le penso veramente e Laura si merita un’opportunità di lavoro così prestigiosa anche se questo significa perderla per sempre.
Laura scuote la testa. «Max, casa non è solamente un luogo, è anche un tetto e per me soprattutto una persona. Tu sei la mia casa e voglio restare qui con te.»
Mi manca un battito. «Non mi merito tutto questo. Mi sembra un sogno e va oltre le mie aspettative.»
Lei mi posa le dita sulle labbra e mi zittisce. «Lasciamo andare i rimpianti e diamoci una seconda possibilità. Che le preoccupazioni di domani rimangano nel futuro: pensiamo a goderci l’oggi, anche con le sue sfide.»
Le prendo la mano e la sfioro con le mie labbra. «Sì, Laura e io voglio ottenere il massimo dai giorni buoni.»
Con Laura ho l’opportunità di inseguire un sogno ma ho bisogno di andare con calma e con più tempo.
Lei mi motiva e rafforza la mia determinazione a combattere il mio stato di afflizione, dovuto alla malattia. Con Laura torno a vedere qualcosa di bello nella mia vita.
Ora riesco a guardare al futuro con speranza, nonostante le difficoltà che dovrò affrontare.
«L’ABBINAMENTO PERFETTO», copyright © 2024, Simona Maria Corvese
… mi sa che faccio prima a dirti che ho pubblicato diverse decine di storie vere con “Confidenze” e che ogni tanto ne condivido qualcuna qui sul mio blog.
Nella foto alcune copertine della rivista, dove sono state pubblicate le mie storie.
LA MIA FORMAZIONE COSTANTE CON LA SCRITTURA:
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